venerdì 8 luglio 2011

la fuga

c'era una luce che penetrava tra le sbarre di quella che difficilmente si potrebbe definire finestra. Per due, tre ore circa al giorno rischiariva le quattro pareti in cui ero confinato. Ormai era così da anni; forse in realtà è sempre stato così, ma probabilmente sono qui dentro da così tanto tempo che non sono più sicuro che io sia mai esistito al di fuori di questo luogo.
quando la luce veniva a farmi visita, era sempre accompagnata dalla vibrante energia della vita. Si riuscivano a percepire, anche se nessuno dei cinque sensi di cui siamo in possesso venivano stimolati in alcun modo, tutti quei fruscii, profumi, colori, sapori, realtà e qualsiasi altra cosa che la natura sappia offrire. Tutti insieme, come una cascata, si abbattevano con fragorosità contro il mio sistema nervoso, mandandolo al tappeto. Le lacrime bagnavano inevitabilmente il mio volto sorridente.
La stessa luce, però, quando sei lì, steso sulla tua schiena, ti ricorda anche che la tua realtà è buia per la maggior parte delle tue giornate, che solo di tanto in tanto puoi godere dell'amore del mondo. per un buon novanta percento sei costretto a guardare le pareti sfumare da una tonalità di grigio a un nero così buio che difficilmente ci si accorge di avere ancora gli occhi aperti. Con la stanza illuminata si rivela, tra l'altro, la peggiore delle verità: una via d'uscita c'è, e si sa anche che oltre quelle sbarre di cose belle come la luce ce ne sono un'infinità.
ma come si fugge da questo incubo, in cui ciò che c'è di più bello al mondo ti viene posto difronte e tolto in pochi istanti? Se la risposta fosse semplice non sarei qui a scriverne.

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